Valutazione del rischio stress lavoro correlato

Già dal 2011 è obbligatorio per tutte le aziende fare la valutazione del rischio stress lavoro correlato (art. 28 del D.Lgs 81/08).

Che cosa significa valutazione del rischio?

C’è l’idea errata che corrisponda a misurare il livello di stress vissuto dai collaboratori. In realtà significa analizzare se all’interno dell’organizzazione ci sono dei fattori (del contesto o del contenuto lavorativo) che potenzialmente potrebbero essere fonte di stress.

siurezza psicologica sul lavoro

Che cosa significa valutazione del rischio?

C’è l’idea errata che corrisponda a misurare il livello di stress vissuto dai collaboratori. In realtà significa analizzare se all’interno dell’organizzazione ci sono dei fattori (del contesto o del contenuto lavorativo) che potenzialmente potrebbero essere fonte di stress.

Quali sono i vantaggi di una valutazione ben fatta?

Oltre ad evitare sanzioni amministrative fino a 6.400 € o la reclusione fino a 6 mesi nei casi più gravi, una valutazione ben fatta determina notevoli benefici legati alla qualità di vita lavorativa, ad un clima interno ottimale, alla crescita delle persone che aumenta il senso di appartenenza all’azienda a la disponibilità di impegnarsi al massimo.

Quando si migliora il benessere organizzativo si ha un impatto diffuso su tutta l’organizzazione, visibile dai livelli di produttività, dalla soddisfazione dei clienti esterni e dalla reputazione aziendale con ripercussioni dirette e indirette sulla competitività e longevità dell’azienda.

Quali aziende devono farlo?

Tutte le aziende e i professionisti che abbiano almeno un dipendente, tuttavia non tutti lo fanno con periodicità e metodo. Ma soprattutto, anche chi la fa, spesso non riscontra un reale abbassamento di questo livello di rischio.

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Quali aziende devono farlo?

Tutte le aziende e i professionisti che abbiano almeno un dipendente, tuttavia non tutti lo fanno con periodicità e metodo. Ma soprattutto, anche chi la fa, spesso non riscontra un reale abbassamento di questo livello di rischio.

Da cosa ce ne accorgiamo?

Alcune aziende continuano ad avere alti tassi di turn over o di assenteismo, oppure un livello elevato di conflittualità interna riscontrabile anche dal numero di procedimenti o sanzioni disciplinari che, a volte, sconfinano in vere e proprie istanze giudiziarie.

Anche un’alta percentuale di infortuni è un indicatore critico che comporta una scarsa percezione di sicurezza da parte dei dipendenti, anche quando è causato da un errore umano, che spesso è il risultato di una ridotta (o nulla) o inefficace attività informativa e formativa.

Recentemente si parla anche di presentismo, per esempio perché le persone magari non usufruiscono a sufficienza delle ferie programmate, o perché il numero ridotto di personale non consente di potersi assentare se non ci si sente bene, per non pesare ulteriormente sui colleghi e per non ritrovarsi un maggior carico di lavoro al rientro dalle ferie o dalla malattia, perché nessun altro ha la possibilità di farsi carico delle sue attività.

Anche un aumento nel numero di richieste di trasferimento di reparto potrebbe rivelare delle problematiche non gestite.

Vorrei approfondire alcuni aspetti della valutazione del rischio

Ci sono modi e modi per fare la valutazione del rischio stress lavoro correlato, e non solo. Non sempre chi la realizza ha le giuste competenze o l’esperienza per comprendere e affrontare un tema (lo stress lavoro correlato) così complesso. E poi, ci sono diversi atteggiamenti e motivazioni nella testa di chi avvia un percorso di questo tipo.

Analizziamo i principali errori che si commettono:

  • se questa analisi viene realizzata unicamente per rispettare le norme, l’obiettivo principale potrebbe essere quello di risparmiare, sia in termini economici che di tempo dedicato, per cui la strategia di fondo è quella di fare il meno possibile, anche qualora emergano delle criticità, che magari vengono giustificate come l’effetto di situazioni transitorie;
  • le problematiche emerse vengono gestite attraverso interventi fantasma, di cui nessuno si accorge (spesso rimangono solo sulla carta, nel DVR, ossia nel Documento di Valutazione del Rischio) e che non hanno alcuna probabilità di produrre un reale miglioramento;
  • le soluzioni pianificate e realizzate per ridurre il rischio non sono quelle più idonee a modificare la situazione, a volte non vengono concordate e condivise con la popolazione aziendale effettivamente coinvolta nella problematica evidenziata che, di conseguenza, non partecipa attivamente alla realizzazione della soluzione proposta e il cambiamento ipotizzato non si verifica: si continua a fare come prima e come sempre;
  • vengono intraprese attività di formazione inefficaci per gestire le criticità (ci sono modi e modi per realizzarle, se si vogliono ottenere specifici risultati).

Spesso l’imprenditore non ha una chiara consapevolezza dei costi, a volte occulti e sicuramente non preventivati, di non farsi carico dei fattori che causano stress lavoro correlato: questo è un grave errore.

Se consideriamo l’aumento dell’assenteismo, ha un impatto diretto sul premio INAIL legato alle indennità per malattia, sul costo del lavoro, sulle ore di straordinario per sopperire all’assenza di personale, sul valore delle prestazioni perse che impattano sulla produttività.

Se parliamo del presentismo, allora dobbiamo tener conto delle perdite in termini di prestazione di una persona affaticata, della carenza di concentrazione, delle difficoltà di comunicazione, dei bassi livelli di motivazione e impegno.

Se quantifichiamo economicamente il turn over, dobbiamo considerare il costo della formazione persa nell’addestramento di chi è uscito e di quella necessaria a rendere performante una new-entry.

In caso di infortuni ricorrenti, pensiamo ai macchinari/attrezzature danneggiati, alla perdita di produttività, agli  indennizzi per le persone coinvolte (sia in termini di malattia che di risarcimento ai terzi) e ai costi accessori, come le giornate in cui un attrezzatura non può essere utilizzata per il danno subito.

A questi costi aggiungiamo quelli delle istanze giudiziarie, oppure i costi legati alla mancata soddisfazione dei clienti a causa di reclami non gestiti, oppure i costi di performance ridotte a causa di un ambiente lavorativo che non consente di lavorare al meglio delle proprie potenzialità.

È facile comprendere, allora, che nel lungo termine COSTA MENO UN INTERVENTO BEN FATTO PER LA RIDUZIONE DEL RISCHIO STRESS, PIUTTOSTO CHE NON OCCUPARSI DI QUESTA TEMATICA.

Innanzitutto, bisogna poter contare su un professionista esperto, come uno psicologo del lavoro che abbia una consolidata esperienza in questo campo, come me 😉.

  • Il primo passaggio è far comprendere all’imprenditore che dietro questo obbligo si nasconde una grande opportunità per l’azienda, per fare diagnosi organizzativa e quindi capire cosa funziona e cosa non funziona, per poterla far crescere e migliorare.
  • Un altro elemento centrale è il coinvolgimento delle persone (sia il Responsabile dei Lavoratori per la sicurezza – RLS, sia il Servizio di Prevenzione e Protezione della Sicurezza, che i lavoratori) per comprendere meglio la situazione aziendale e trovare insieme nuove efficaci soluzioni.
  • Un’attenzione particolare va data alla comunicazione del processo, nelle diverse fasi, per garantire la partecipazione costruttiva di tutti.
  • L’esperienza del professionista garantisce la scelta di una metodologia di valutazione adatta al contesto in cui va ad operare, che non sia troppo invasiva, che abbia riguardo dell’operatività aziendale e non la ostacoli, che consenta di ridurre al minimo i rischi di alimentare eccessivamente le aspettative del personale, che sia efficace a far emergere esclusivamente gli aspetti che possono essere migliorati e non si trasformi in uno spazio di lamentela e polemica sterile.
  • L’analisi dei dati emersi è un passaggio cruciale per:
    • dare significato ai risultati, perché non tutto quello che emerge potrebbe identificare un reale rischio stress;
    • concentrarsi sui dati rilevanti, che non sempre sono i più evidenti: a volte sono i segnali deboli che nascondono le vere criticità;
    • saper riportare i risultati alla Direzione in modo costruttivo, evidenziando i benefici che deriverebbero dal migliorare specifiche aree.
  • La scelta degli interventi di miglioramento non può essere imposta, né dal professionista (che magari non conosce la disponibilità economica e di risorse che l’azienda ha la possibilità di mettere in campo), né dalla direzione aziendale (imporre decisione dall’alto spesso ha un effetto boomerang: se il personale non condivide può, anche involontariamente, boicottare l’iniziativa), né dal personale (che non ha una conoscenza di insieme di tutti gli aspetti aziendali significativi e spesso propone interventi non sostenibili per l’organizzazione, soprattutto da un punto di vista economico). È importante co-costruire un piano di interventi di miglioramento all’interno di una strategia organizzativa più ampia, prevedendo un budget da destinare al miglioramento del benessere nel tempo, tenendo conto dell’esperienza diretta di chi lavora nelle diverse aree organizzative e con il contributo di uno specialista che si occupi, specificatamente, di implementare e monitorare l’impatto delle diverse azioni nel tempo.
    • L’ultima fase è proprio quella del monitoraggio della qualità degli interventi realizzati per comprendere se hanno prodotto l’effetto desiderato, ossia ridurre i livelli di rischio stress, o se è necessario valutare azioni aggiuntive.

L’intero processo valutativo viene poi ripetuto in caso di cambiamenti significativi nei processi produttivi o dell’organizzazione del lavoro, a seguito di infortuni significativi o se dalla sorveglianza sanitaria ne emerge la necessità (art. 29, comma 3 del D.Lgs 81/08).

È importante privilegiare interventi collettivi (su più persone o aree organizzative) rispetto a quelli individuali e soprattutto è necessario individuare delle priorità di azione, compatibili con le risorse aziendali.

Gli interventi possono essere di vario tipo e riporto degli esempi di azione di miglioramento:

  • organizzativi (es. redistribuzione del carico di lavoro, rotazione dei compiti)
  • tecnici (es. aggiornamento di strumentazioni o software)
  • procedurali (es. aggiornamento e diffusione di procedure interne)
  • comunicativi (es. diffusione dei contenuti delle mansioni e delle responsabilità per ciascun ruolo)
  • formativi (es. sviluppo delle capacità di gestire i conflitti, di gestire lo stress, di interagire positivamente con persone con disabilità). Puoi anche dare un’occhiata ad alcuni interventi tipici che propongo in azienda (Collaboratori in salute e Collaboratori performanti).

Una figura esterna con competenze comprovate in psicologia del lavoro riesce a far comprendere alla direzione aziendale i reali vantaggi di una valutazione ben fatta, può scegliere metodologie operative che possono raggiungere differenti livelli di approfondimento a seconda dei reali cambiamenti che la direzione è disponibile ad implementare, salvaguardando la correttezza normativa del processo e sa stimolare il coinvolgimento del personale, abbattendo le resistenze e i pregiudizi nei confronti dell’azienda.

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