Un caso di workaholism: sindrome della dipendenza da lavoro
Quando il lavoro è l’unica modalità per realizzarsi e affermare se stessi, per realizzare i propri obiettivi, ridurre l’ansia e l’insicurezza che accompagnano la vita di tutti i giorni, possiamo ipotizzare la presenza di una dipendenza dal lavoro.
La storia di Fabio
L’azienda in cui lavora Fabio, con cui avevo già svolto diversi interventi, lo scorso luglio mi ha contattato perché aveva bisogno di un supporto in un processo di riorganizzazione aziendale. Tutta la contabilità era affidata ad un’unica persona che, nel tempo, ha costruito strumenti di lavoro che maneggiava solo lui.
Si tratta di un tecnico molto capace, a cui non sfugge nulla, con un livello di errori quasi pari allo zero. Da un punto di vista relazionale, tuttavia, ha i suoi limiti.
Fabio è il responsabile dell’ufficio amministrativo e ho scoperto che soffre (anzi dovrei dire soffriva) di sindrome da dipendenza dal lavoro.
Quando l’ho incontrato, stava vivendo un periodo davvero buio e critico della sua vita dovuto a personali situazioni familiari e grande incertezza lavorativa per le innovazioni aziendali.
Ci sono stati momenti che lo hanno particolarmente messo a dura prova, fino a portarlo ad un esaurimento e crollo emotivo sul lavoro, con scatti di ira e un atteggiamento di grande chiusura e resistenza al cambiamento.
Ha anche pensato di licenziarsi.
Quale intervento può essere efficace per la dipendenza da lavoro?
Per superare la dipendenza dal lavoro nella maggior parte dei casi è necessario avvalersi di uno specialista e affrontare un percorso individuale.
Le persone che soffrono di workaholism si immergono così tanto nel lavoro che diventa un rifugio in grado di proteggerle dal sentire emozioni e costruire relazioni profonde e significative.
Un intervento mirato consente di colmare la voragine, il vuoto e il senso di incompletezza che queste persone coprono con la dipendenza dal lavoro.
Quale soluzione per la dipendenza da lavoro ho offerto all’azienda e a Fabio?
Ho proposto, dunque, un intervento di business coaching (utilizzando anche strumenti di tipo terapeutico, viste le mie competenze) finalizzato allo sviluppo di una maggiore consapevolezza del suo ruolo all’interno dell’organizzazione e del valore del suo lavoro.
Abbiamo concordato un percorso in 8 sessioni a cadenza settimanale nei primi due mesi e gli ultimi due incontri a cadenza mensile, prima e dopo i periodi di ferie, che rappresentavano per lui una forte criticità.
Il primo incontro (che è quello diagnostico e di individuazione della metodologia risolutiva più idonea) è determinante per gli esiti del percorso: stimolo riflessioni personali molto profonde e spesso disruptive rispetto alle credenze e convinzioni delle persone. Faccio vedere loro ciò che non hanno mai visto, o compreso, di se stessi. Questo ci permette di creare le basi per poi ricostruire sistemi più funzionali di pensare, sentire, parlare e agire.
Cos’è la dipendenza da lavoro?
Il termine dipendenza da lavoro o workaholism descrive un disturbo, una dipendenza comportamentale dalle attività lavorative.
Il disturbo si manifesta attraverso richieste auto-imposte e l’incapacità di regolare le abitudini lavorative, rinunciando ad ogni altra attività extra lavorativa, in cui la persona sente noia e/o mancanza di interesse o piacere.
Gli effetti negativi hanno un impatto diretto sulla qualità delle relazioni, della vita familiare e sociale e possono portare al perfezionismo clinico, all’ansia e alla depressione.
Come si caratterizza la dipendenza da lavoro?
Il lavoro assorbe completamente la personalità della persona, divenendo così il fulcro identitario della sua vita.
Una delle tante difficoltà che presentava Fabio era la totale incapacità di conciliare i tempi di vita privata familiare con quelli lavorativi.
Fabio dedicava volontariamente molto più tempo al lavoro: lavorava fino a tardi senza concedersi mai dei tempi di riposo idonei, dopo periodi di sovraccarico lavorativo e iper-concentrazione.
Avevo osservato che il suo lavoro, portato avanti in modo ossessivo, non gli faceva rendere conto di essere completamente assente in famiglia e che stava fagocitando tutti i suoi spazi di vita.
Tipico di chi soffre di workaholism. Preferisce il lavoro alla famiglia e a qualsiasi altra attività, hobby, passione o svago.
Prima che lo incontrassi, la famiglia aveva un ruolo assolutamente marginale, era lo sfondo del suo palco lavorativo, per lui.
In che modo le caratteristiche personali incidono sul workaholism?
Fabio tendeva a fidarsi poco di qualsiasi persona e perciò faticava a delegare parti del suo lavoro agli altri. Si attribuiva il ruolo di risolutore di tutti i problemi (anche quando non erano di sua pertinenza) anche a causa dalla sua mania del controllo che lo portava a iper-responsabilizzarsi.
Aveva anche paura di perdere il lavoro. Erano state inserite due nuove figure che lo avrebbero dapprima affiancato e nel suo lavoro e, col tempo, avrebbero preso in carico parti del suo lavoro. Questo lo aveva molto turbato fino a credere che l’azienda volesse dapprima acquisire il suo know how, attraverso l’affiancamento, l’addestramento e la formazione al ruolo, e poi licenziarlo.
Riassumendo, la gravosa e delicata situazione familiare associati al cambiamento nella riorganizzazione aziendale, verificatisi contemporaneamente, lo ha portato ad un elevato senso di incertezza rispetto al suo futuro e al suo ruolo professionale, rendendolo ostile verso il cambiamento organizzativo.
In quale contesto aziendale si è sviluppato il workaholism?
L’azienda, a carattere familiare, ha visto “sempre presenti” i soci: i primi ad arrivare e gli ultimi ad andare via. Valorizzavano quelli come loro, che non guardavano l’orologio, lavoratori indefessi, disposti a mettere l’azienda davanti a tutto.
E per Fabio è fondamentale l’approvazione dei soci titolari.
L’azienda si trova in un momento di grandissima innovazione tecnologica e procedurale nell’ambito della gestione del lavoro. Vuole crescere in tempi molto rapidi e industrializzarsi.
L’innovazione coinvolge tutti i settori aziendali, incluso l’ufficio amministrativo contabile, nel quale in passato c’era Fabio come unico responsabile.
Quali cambiamenti erano previsti?
Fabio amministrava tutta l’azienda grazie ad un metodo e un programma di calcolo, che aveva costruito e migliorato negli anni per renderlo il più affidabile possibile. Essendo l’unico responsabile dell’ufficio amministrativo, tutto era nelle sue mani, ed era l’unico che conosceva e lavorava su questo programma di calcolo.
Con l’aumento esponenziale del fatturato dell’azienda, vengono inserite due nuove figure nell’ufficio amministrativo per aiutarlo, ma lui avrebbe dovuto distribuire il suo carico di lavoro negli aspetti gestionali alla nuova responsabile e negli aspetti più ordinari all’impiegata amministrativo/contabile.
Questa riorganizzazione prevedeva dunque una redistribuzione delle responsabilità, in base alle attitudini e competenze, la revisione dei metodi, degli strumenti di lavoro e una rinnovata capacità di team working.
Gli elementi centrali per un cambiamento che porti esiti positivi sono sempre la tolleranza e l’apertura al cambiamento rispetto alle modalità gestionali precedenti.
Come affrontare la sindrome da dipendenza da lavoro
Nelle fasi iniziali, durante l’inserimento delle nuove figure, Fabio nutriva insofferenza e sfiducia, passando da fasi di profonda passività a momenti di aggressività.
Il percorso pianificato ed intrapreso ha avuto l’obiettivo di
- far comprendere meglio la prospettiva aziendale di lungo termine,
- valorizzare il suo contributo, ritenuto fondamentale per l’evoluzione,
- riconoscere la sue qualità e le sue aree di miglioramento,
- eliminare i pregiudizi e le fantasie su un futuro catastrofico per lui,
- accogliere le novità come importante occasione di crescita professionale e scambio reciproco di conoscenze
- scambiare know how tra colleghi e crescere insieme.
Fabio aveva bisogno di sviluppare una nuova consapevolezza di sé e del suo ruolo, alimentare le sue capacità di collaborazione per un efficace team working e lasciarsi coinvolgere dai cambiamenti direzionali, assumendo una posizione di contribuzione attiva.
Inoltre, era necessario superare la paura, la chiusura e l’incertezza che sentiva, consolidando così la sua percezione di sicurezza lavorativa.
Fabio era molto giudicante: qualunque comportamento altrui veniva visto come disinteresse nei confronti dell’azienda, incompetenza e mancanza di impegno.
Per questo è stato importante esplorare e mettere in discussione le sue tipiche modalità cognitive di lettura, interpretazione e comprensione della realtà, delle persone e dell’azienda, per facilitare i livelli di fiducia verso gli altri.
Conciliare la vita privata con il lavoro
Un aspetto che caratterizza una dipendenza dal lavoro è la mancanza di volontà nel cercare momenti di stacco e di equilibrio tra vita lavorativa e personale.
Per salvaguardare il suo benessere psicofisico a rischio, per il recente periodo di superlavoro (che si portava a casa per completarlo anche di notte) e contemporanea gestione della situazione familiare, è stato caldamente incentivato un piano ferie, anche perché aveva accumulato molte ferie non godute.
Fabio non voleva assolutamente prendersi le ferie, le vedeva come una punizione e come prova concreta della volontà di volerlo allontanare dall’ufficio, mentre le altre mettevano mani nei suoi fogli di calcolo. Avrebbe accettato solo a patto di portarsi via il PC.
Anche le ferie sono state negoziate, perché Fabio temeva di perdere il controllo, che le altre non avrebbero completato la loro parte e magari fatto anche gravi errori, che poi lui avrebbe dovuto correggere.
Quali sono i benefici personali di un percorso di business coaching per chi soffre da dipendenza da lavoro?
I primi cambiamenti importanti sono stati visibili, fin da subito.
Fabio ha cominciato a porsi un limite negli orari di lavoro. Ha cominciato ad andare a prendere i figli ogni giorno a scuola per pranzare insieme e nel pomeriggio esce in orario per poter cenare con la famiglia e fare una passeggiata con loro dopo cena.
Finalmente ha iniziato ad essere “presente” nella vita familiare, occupandosi anche di lavori in casa che, per anni, aveva rimandato, perché neanche vedeva quel lampadario mai montato in camera da letto da circa 12 anni o l’armadietto del bagno da rifare.
Un passaggio veramente potente che gli ha permesso di dare valore alla sua famiglia, considerata fino a prima solo un contorno nella sua vita.
Il modo di vivere è cambiato, ha iniziato a scoprire il piacere di stare con i suoi cari (forse per la prima volta) e dedicare del tempo di qualità e profondità, in cui essere completamente presente e consapevole.
Questo percorso, infatti, è stato veramente un percorso di grande riscoperta per Fabio.
Ha rivalutato anche le relazioni con altri familiari, che erano state interrotte a causa di un’incomprensione e che lo avevano portato a rinunciare alla possibilità (e al piacere) di condividere momenti come matrimoni, battesimi e feste natalizie.
Di quali vantaggi beneficia l’azienda che supporta un suo dipendente con dipendenza da lavoro?
Il miglioramento di Fabio, pian piano, si è esteso anche all’ambito lavorativo, quando ha cominciato a modificare il modo di trasferire e di condividere, con le nuove colleghe, le sue conoscenze, smettendo di dare per scontati alcuni passaggi.
È cambiato il suo modo di interpretare le situazioni e i comportamenti altrui: oggi ascolta con apertura, senza giudicare come invece faceva in passato, e dà feedback utili ed efficaci. Ha compreso il suo valore in azienda e l’utilità di un approccio proattivo e delegante al tempo stesso.
Ha scoperto che non ha solo da dare (il suo know how) ma ha ancora tanto da imparare: è uno scambio, non solo un dare.
Si è creato così, naturalmente, un clima sereno, di fiducia reciproca, che ha permesso un’ottima collaborazione, con un dialogo aperto e trasparente, che può integrare il punto di vista di tutti.
In questo contesto di contribuzione positiva di tutto il team, l’innovazione immaginata diventa concreta, si realizza e diventa un volano verso la prospettiva aziendale desiderata.